Sunday, November 18, 2012

MEZZANOTTE A SARAJEVO

Domenica sera. Anzi lunedi. Proprio in questo momento. E nel cazzeggio annoiato di fine weekend rileggo su Facebook il messaggio di Francesca che, incuriosita, qualche giorno fa mi chiede "perchè Radio Sarajevo". Già, perchè ormai quasi 7 anni fa (mese più mese meno) ho deciso di aprire questo blog. Un blog di parole, senza immagini, su fondo nero. La risposta che le avrei dato in quel momento è "in realtà mi chiedo come mai ci sia ancora". Ma in quel momento no, era dovuta una risposta migliore. Perlomeno non un'altra domanda. Qualcosa di autentico. Ho quindi cercato di ritrovare quel momento, era una notte ed era di domenica, in cui questo spazio buio e un po' angusto (non per me che lo abito ovviamente) ha avuto una forma. Quella di una voce metallica e sottovoce, come quelle della radio di notte. Una voce di parole e di confessione. Una voce nuda e senza troppe pretese (chi trasmette di notte non può avere giocoforza deliri di fama e celebrità). Ma una voce carica. Svincolata dalla necessità di un senso e dai rigori della logica. Una voce che raccoglie segnali deboli per dar loro voce. E quindi racconta storie. Alcune vere. Altre inventate ma, proprio per questo, forse anche più vere. La voce di Sarajevo, una delle città al centro di una mia geografia immaginaria. La voce di una città che risponde all'assedio con la sommossa, dove di giorno ci sono state le bombe che sventrano le case, ma dove la gente, di notte, si trova nelle cantine a bere, ballare e suonare la fisarmonica. Non per dimenticare, ma per ricordarsi di vivere, anche se quel vivere è condizionato a una pistola nella cintola o alla clemenza della fortuna. E con tutta questa provvisorietà è fin troppo ovvio che le trasmisssioni di Radio Sarajevo siano quando capita e quando si può. E più volte le porte sono state chiuse e più volte riaperte. Senza mai trovare, ne cercare una collocazione o una linea da seguire. E, sorprendentemente, mi sono accorto che gli anni sono passati e che Radio Sarajevo è sopravvisssuta, anche ai tentativi di assassinio perpetrati dal suo stesso autore. Mi sono accorto che ci sono cose che vanno avanti da se, senza nessuna spinta, senza nessuno sforzo. Che a volte dire basta serve per poter affermare ancora, per riprendere convinzione e riassestare le gambe. Quindi grazie, Radio Sarajevo, per essere stata la mia voce che ha dato voce ad altre voci. Grazie per essere stata discreta compagna notturna dei miei disordini e sussulti. Per aver dato forma alle mie idee e alle mie emozioni. E per aver continuato a trasmettere da una città lontana, in uno studio arrampicato all'ultimo piano di un edificio bombardato. E avermi insegnato che l'inverno si può vivere per quello che è. Senza la necessità di attendere la primavera. Perchè comunque, qualsiasi sia la stagione, le notti delle radio sono sempre le stesse. E sono buone notti. E tu, Francesca, sai cosa intendo.

1 Comments:

Anonymous locullo said...

È al centro anche della mia, di geografia personale.

2:24 PM  

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